domenica 14 novembre 2010

Non scrivere per mestiere

Un paio di mesi fa Serena Danna (che ancora ringrazio per avermi contattato e citato) ha pubblicato sul Sole 24 Ore un interessante pezzo dedicato agli scrittori che fanno anche un altro mestiere. Queste l'intervista che mi aveva fatto in merito.



1) Che lavoro fai?
Libraio, o meglio commesso in una libreria di catena.

2) Che tipo di contratto hai?
Part-time a tempo indeterminato.

3) Quanto tempo dedichi alla scrittura, quanto al lavoro?
Al lavoro venti ore settimanali. La scrittura invece continua sempre, nella mia testa, mi capita di portarmi un romanzo dentro per mesi, registrare cose utili, pensarlo, anche mentre non lo scrivo per davvero. Anche lavorando altrove.

4) Quando scrivi?
Al mattino, se posso. Sono più lucido, mi resta più facile.

5) Il lavoro influenza la tua scrittura? In che modo?
La influenza direttamente, perché nei miei romanzi il tema del lavoro è sempre presente. E indirettamente, perché ho sempre lavorato da dipendente e ogni mia scelta, non soltanto letteraria, credo sia influenzata dalla mia quotidianità.

6) Ti definiresti precario?
Limitando la risposta alla sfera professionale dovrei nuovamente dividermi in due: il contratto da commesso è appunto a tempo indeterminato, quindi relativamente fortunato rispetto a ciò che si trova in giro; per quanto riguarda le collaborazioni che ho da scrittore la precarietà è invece assoluta, ogni “prestazione” è decisa e pagata di volta in volta, niente può veramente garantire che ce ne sia una successiva.  

7) Hai tempo libero? A cosa lo dedichi?
Sto imparando a nuotare. Mi piacciono il cinema e la musica, ovviamente la lettura, gli sport quasi tutti. Due, tre volte l’anno vado a pescare. Quando ho un periodo di ferie cerco di fare un viaggio. Mi appassiona il mondo del vino, specie quello più naturale e nascosto. Mi piace la vita di coppia: stare semplicemente insieme alla mia compagna, quando gli impegni lo permettono, mi sembra sempre una fortuna.

8) Pensi che il mondo del lavoro sia poco rappresentato in letteratura?
Forse qualche anno fa, ma adesso no, affatto. Anzi trovo che certi romanzi sappiano tratteggiarlo in maniera molto più veritiera rispetto a titoli e numeri dell’informazione di massa.

9) Ti piacerebbe dedicarti solo alla scrittura? Perché?
Mi piacerebbe, ma soltanto se fosse svincolata dalla mia sopravvivenza economica. Ho scoperto che la mia scrittura trae enorme vantaggio dalla libertà, quindi dal non essere legata a scadenze, obblighi, vincoli.

10) Per quale motivo in Italia scrivere romanzi non è considerata una professione?
La vera letteratura credo sia un’arte, più che una professione. Tornando a ciò che dicevo prima, tendo a separare gli “autori” dai “professionisti della scrittura”: i primi scrivono con l’anima, senza ascoltare altro; i secondi con il mestiere, guardando alla frequenza delle uscite, alla moda, alle vendite. Poi finiscono sugli stessi scaffali, e a mancare credo sia soprattutto un riconoscimento economico: posto per tutti, nei numeri tanto piccoli del nostro mercato, non ce n’è.

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