lunedì 27 dicembre 2010

Nel mio primo romanzo citavo Tom Waits


Misi in moto, cominciai a scendere per i tornanti. Accesi la radio, iniziava un pezzo di Tom Waits. Pensai a come si intitolasse, ma non mi veniva in mente. Era una canzone straziante. La luna stava ferma tra lo specchietto retrovisore e il parasole, poi curvai ancora e se ne andò. Abbassai il finestrino, l’aria fredda sulla faccia mi faceva lacrimare. Lo richiusi. Poi arrivò il ritornello e la riconobbi. Era Jersey Girl, l’album era Heartattack and Wine. La prima volta che lo avevo ascoltato ero a Londra, a casa di Gabriele. Lavorava in un pub vicino a Victoria Station e divideva un bilocale con una parrucchiera polacca. Mi sarebbe piaciuto tornare a trovarlo.
Arrivai allo stop che immetteva nella carreggiata principale. Aspettai che sfilassero due Tir, imboccai la strada e li sorpassai subito. L’ultima volta che avevo canticchiato quel pezzo, invece, ero nella macchina di Chiara. Stavamo tornando da una cena a casa di amici, in campagna, ed era sce­sa una nebbia densa, di stoffa grigia. Non si vedeva un tubo. Prendevo in giro Chiara perché aveva troppa paura, andava a due all’ora e ogni tanto frenava senza motivo. Poi ci trovammo in un oliveto, l’asfalto finiva e la nebbia sembrava riempire anche la macchina. Ci fermammo.
«Persi», dissi.
«E ora?», fece lei.
Io ridacchiavo e rantolavo con Tom. Chiara sbottò, spense il motore, tirò il freno a mano e si sfilò il maglione.
«Che fai, vai a dormire?», dissi. Lei mi morse le labbra, forte.
«Chiama la mamma, se vuoi. Io da qui non mi muovo finché non sbuca il sole».
Erano le tre di notte. La cassetta fece il giro quattro volte, e secondo Chiara passarono a trovarci, nell’ordine, due streghe, un maniaco sessuale, sei cinghiali, una manciata d’elfi, un guardone innocuo, un’altra strega, l’uomo lupo e infine uno scoiattolo. Poi venne l’alba.

(da Donne e topi, Fazi editore, 2004)

mercoledì 22 dicembre 2010

Brown Bunny Magazine


Brown Bunny Magazine nasce il 10/10/2010. Brown Bunny Magazine è la rivista di cinema, letteratura, arte, e spettacolo. Brown Bunny Magazine è fatta da Leonardo Moro. Grazie a Leonardo Moro soltanto su Brown Bunny Magazine Emiliano Gucci intervista Emiliano Gucci.

martedì 21 dicembre 2010

Nel mio primo romanzo citavo John Fante


Andai al comodino, tirai fuori Full of Life. Lo tenevo da solo, in un cassetto. Era l’unico posto pulito in tutta la stanza. Dentro quel libro conservavo le foto più preziose, le uniche che avevo. Ogni tre o quattro pagine ce n’era una. Mi sedetti sul letto e lo sfogliai. Rividi Sonia, piccola e rossa, un animaletto scappato da Marte. Rideva di me, di quanto ero imbranato con la sua macchina digitale. Girai pagina. C’era nonno Ernesto, a cavallo, la faccia dura come la terra da cui veniva. Poi c’era Sandra, il viaggio a Londra. A Sandra non piaceva quel libro. Non le piaceva quello che c’era scritto dentro, non le piaceva che io ci tenessi le foto. Diceva che sembrava un catalogo di anime, che lì dentro le persone perdevano spessore, dignità. Si riferiva alle donne, era chiaro. Forse sarebbe stato diverso se avessi messo le foto in un album, o se ogni donna avesse avuto un libro proprio. O se alla fine di ogni storia avessi bruciato tutto. Sapeva un cazzo, Sandra, dello spessore e della dignità dei miei amori. E poi non le piaceva John Fante, non poteva durare.

(da Donne e topi, Fazi editore, 2004)

giovedì 16 dicembre 2010

L'incipit del mio primo romanzo (2004)


«Quella dei chirridos è stata la goccia…».
«Racconta», dissi. Ero in birreria con Daniel, un amico argentino.
«Ti sembrerà una cazzata», fece lui.
«Non importa».
«Mi sono svegliato verso le quattro e non riuscivo più a dormire. Mi rigiravo nel letto, pensavo che quella casa non mi piace, non ci dormo tranquillo… poi sento dei rumori in cucina. Pensavo a un’impressione mia, ma ascoltavo bene e li sentivo ancora. Erano veri…».
«Che tipo di rumori?».
«Mah, suono di lamenti… como chirridos».
Inciampava in qualche argentinismo, ma per il resto parlava bene. Viveva in Italia da un anno e imparava velocemente.
«E poi?».
«Aspetto. Provo a dormire ma non c’è niente da fare, i suoni mi entrano nella testa, non mi danno pace… allora mi tiro su, metto le ciabatte e vado in cucina. Al buio, con la paura che la vecchia si sveglia…».
Bevve un sorso di birra e si passò la lingua sulle labbra. Poi continuò, senza fretta.
«Sento che i rumori vengono da sopra il mobile dei piatti. Mi avvicino e sto zitto, e ascolto, al buio».
«Ma cosa sentivi di preciso?».
«Suoni animali, acuti, schifosi… a momenti sono più forti, impresionanti, ti giuro».
«E allora?».
«Allora torno verso la porta, guardo che non venga luce dalle camere e mi giro verso i suoni. Poi accendo e apago la luce, veloce».
«Accendo e spengo la luce».
«Come?».
Sospirai. Interromperlo era sempre un errore, c’era il rischio di perdere il filo.
«Si dice spegnere. Io accendo e spengo la luce. Si dice così».
«Non si usa apago?».
«Te l’avrò detto mille volte».
«Bueno».
«E allora?».
«Cosa?».
«Hai visto qualcosa o no?».
«Nulla».
«E dopo?».
«Esco, guardo verso le camere. Non si muove niente».
«Dormivano tutti, mi sembra normale».
«En final accendo la luce, guardo bene sopra il mobile. Vicino al muro vedo una specie di scatola, coperta con un asciugamano…».
«Sì».
«Prendo una sedia e ci salgo sopra. I suoni sono vicini, insopportabili… io tremo dentro, giuro, avevo paura. Agarro l’asciugamano e lo tiro via…».
Ostentò una pausa smisurata, roba da teleromanzo di serie c. Era insopportabile. Detti fondo al mio boccale in silenzio, guardandomi intorno.
«E sai che ci trovo?», disse Daniel.
«Una scatola di vetro, con un bambino ripiegato dentro», feci con aria scocciata.
«No. Una gabbia con ratones. Neri, brutti, schifosi».
«Topi?».
«Sì, topi».

domenica 12 dicembre 2010

LA SVOLTA, un breve racconto del 2002



Eravamo in due nella sala d’attesa. L’omino camminava su e giù, aveva in mano una cartellina verde uguale alla mia. Io ero affondato in una poltrona di plastica verde. L’aria era condizionata e pesante, le pareti di plastica. In un angolo c’era una pianta grassa, verde e lucida. Da un tavolino i depliant dell’Assicurazione inneggiavano all’Investimento, alla Sicurezza e al Risparmio.
«Oggi fa proprio caldo» disse l’omino.
«Fortuna che c’è il condizionatore» risposi.
«Dopo un po’ non si sente nemmeno. Guardi, sto sudando» disse. «Lei non suda?».
«Quando fa caldo sì».
L’omino sorrise. «Perché è qui?» domandò. Continuava a camminare su e giù.
«Voglio sospendere il mio contratto di Assicurazione».
«Ah» disse. «Suderà anche lei, ah!».
La porta dell’ufficio si aprì. Una signora anziana uscì senza alzare gli occhi da terra.
«Prego» si sentì dire. L’omino si fece il segno della croce, si asciugò il sudore ed entrò.

Mi mancava l’aria. I minuti passavano lenti. Le pareti si stringevano, la plastica della poltrona mi si appiccicava alla pelle. Mi alzai e camminai. Faceva caldo. La cartellina verde si era incollata alla mia mano. L’omino non usciva più dall’ufficio. Volevo scappare. Sarei tornato il giorno dopo. La settimana dopo. Mai più. Poi la porta si aprì e l’omino schizzò fuori senza alzare gli occhi da terra.
«Prego» si sentì dire. Infilai dentro.

La stanza era di plastica bianca e verde. L’Agente doveva essere un alieno. Era ben vestito e non soffriva caldo. Aveva gli occhi vuoti. Era verde.
«Dica».
«Vorrei sospendere il mio contratto di Assicurazione» dissi.
«Faccia vedere».
Gli passai la cartellina, lui cominciò a sbirciare.
«Non può» disse, dopo pochi secondi.
«Perché?».
«È tardi. Servono due mesi di preavviso. Il 13 era l’ultimo giorno utile».
«Oggi è…».
«Il 14. Tardi».
«Ma lei non potrebbe…».
«No».
«L’aumento è troppo consistente, io non…».
«Mi spiace» disse. Mentiva.
«E se non pago?» domandai.
«Ne subirà le conseguenze» rispose.
Uscii. Ero fradicio. Vidi i depliant sul tavolino e mi scappò da ridere. Schizzai fuori, faceva ancora più caldo. Entrai in un bar e mi feci una birra. Camminai, entrai in libreria. Non sapevo cosa volevo, aspettavo che un libro mi scegliesse. Poi successe. Sfilai Delitto e castigo dallo scaffale e al suo posto ci infilai la mia cartellina verde. Pagai e me ne andai. Fuori la città era rossa di fuoco e gridava vendetta. Il giorno dopo sarebbe crollato tutto e tutto sarebbe ricominciato.

lunedì 6 dicembre 2010

Postumi ungheresi


“Il titolo francese l’ho scelto io. È il nome di uno dei racconti, si chiama C’est égal, Fa lo stesso. Ecco, quello mi rappresenta. È la mia natura. Io sono così. Per tutta la mia vita è stato così. Non è l’età che mi ha portato a questo punto. È stato sempre così, anche per l’amore. E lo diventa sempre di più. Anche per la scrittura, per la letteratura. Per me fa tutto lo stesso”.

Agota Kristof in un’intervista comparsa su Il Foglio Quotidiano il 5 marzo 2005.