martedì 27 settembre 2011

Vasche


Torno al corso di nuoto. Avrei pagato la retta fino all’estate. Ho saltato qualche lezione dopo un brutto spavento, ma oggi ho voglia di riprovarci. Il punto è che ho deciso di imparare a nuotare a trentanove anni. È tardi. Non è per niente facile. Non è come per altre pratiche che non hanno tempo, né età. Questa ce l’ha, eccome. Il cervello ormai s’è imbrigliato e non è detto che decida di mettersi in gioco. Il corpo s’è impigrito, certi muscoli sono rimasti là, inutilizzati da chissà quanti anni, e poi le inibizioni, i freni. È una bella sfida e l’ho voluta azzardare. Lo scorso settembre mi sono tuffato per la prima volta nel cloro della piscina comunale insieme alle casalinghe del paese, i pensionati, donne incinte, certi studenti, certi storpi, incidentati in riabilitazione. Mi sono lasciato insegnare da un figlioletto muscoloso che avrà vent’anni meno di me e appena rificco la testa sotto mi prende in giro, ci giurerei. Ho provato ad ascoltarlo, l’ho guardato mimare i movimenti, la respirazione. Gli ho creduto, ho bevuto e tossito e ho avuto paura, ma non mi sono mai scoraggiato. Ora vado, un po’. Le mie gambe spingono forte, simmetriche, nell’acqua non zoppicano. A stile libero nuoto piuttosto bene, anche due vasche filate senza sosta. A dorso di meno, a rana per niente.


Vorrei che il mondo fuori somigliasse a questo mondo qua. Sto con la testa sott’acqua, nell’azzurro ovattato che pacifica, soffio le bollicine e sento l’affanno annebbiarmi la mente. Mi piace. Raggiungo il termine della vasca, poi riemergo, poggio i piedi sul fondo e rifiato. Vedo una donna della corsia accanto col sangue che le cola dal naso. Cerca di tamponarlo con una mano mentre passa sotto i cordoli che separano le corsie, ma non basta, il sangue gocciola nell’acqua e fa un brutto effetto. Allora non ci credo. È come se certe scene mi venissero a cercare. Come se tutto intorno fosse così. Vorrei chiedere conferma a qualcuno accanto a me, scuotere un vecchietto in costume e domandare: «È vero che accadono solo disgrazie? È vero che quella donna sta sanguinando?». Tutti si allontanano, la distanziano come un’appestata, nessuno l’aiuta per risalire le scalette. Alcune signore sembrano spaventate, altre divertite. Mi avvicino alla donna. Vorrei soccorrerla però adesso sono rallentato, come ipnotizzato. L’istruttore interviene prima di me, le tende una mano, la tira fuori, le chiede quale sia il suo accappatoio e glielo passa.
«Ti capita spesso?» domanda.
«Ho preso una botta» dice lei, mentre si incammina verso gli spogliatoi.
«E com’è possibile?» chiede l’insegnante. «Tanto forte?».
Allora lei si blocca e lo guarda in carogna, sforzando gli occhi al basso, demoniaci, mentre tiene la testa rovesciata indietro. Avrà cinquant’anni. Ha un bel culo, lo noto solo stamani, e unghie dei piedi minuscole e curate, gli avambracci pelosi più dei miei.
«Me la paga, quella troia» dice, e si riavvia spedita sul pavimento fradicio. «Troia bagascia, muso di capra».
Subito parto per una vasca a stile libero, senza neanche prendere il respiro adeguato. Come ogni volta crederò di affogare, ma neanche oggi capiterà.



[Da L'umanità, Elliot 2010]