Misi in moto, cominciai a scendere per i tornanti. Accesi la radio, iniziava un pezzo di Tom Waits. Pensai a come si intitolasse, ma non mi veniva in mente. Era una canzone straziante. La luna stava ferma tra lo specchietto retrovisore e il parasole, poi curvai ancora e se ne andò. Abbassai il finestrino, l’aria fredda sulla faccia mi faceva lacrimare. Lo richiusi. Poi arrivò il ritornello e la riconobbi. Era Jersey Girl, l’album era Heartattack and Wine. La prima volta che lo avevo ascoltato ero a Londra, a casa di Gabriele. Lavorava in un pub vicino a Victoria Station e divideva un bilocale con una parrucchiera polacca. Mi sarebbe piaciuto tornare a trovarlo.
Arrivai allo stop che immetteva nella carreggiata principale. Aspettai che sfilassero due Tir, imboccai la strada e li sorpassai subito. L’ultima volta che avevo canticchiato quel pezzo, invece, ero nella macchina di Chiara. Stavamo tornando da una cena a casa di amici, in campagna, ed era scesa una nebbia densa, di stoffa grigia. Non si vedeva un tubo. Prendevo in giro Chiara perché aveva troppa paura, andava a due all’ora e ogni tanto frenava senza motivo. Poi ci trovammo in un oliveto, l’asfalto finiva e la nebbia sembrava riempire anche la macchina. Ci fermammo.
«Persi», dissi.
«E ora?», fece lei.
Io ridacchiavo e rantolavo con Tom. Chiara sbottò, spense il motore, tirò il freno a mano e si sfilò il maglione.
«Che fai, vai a dormire?», dissi. Lei mi morse le labbra, forte.
«Chiama la mamma, se vuoi. Io da qui non mi muovo finché non sbuca il sole».
Erano le tre di notte. La cassetta fece il giro quattro volte, e secondo Chiara passarono a trovarci, nell’ordine, due streghe, un maniaco sessuale, sei cinghiali, una manciata d’elfi, un guardone innocuo, un’altra strega, l’uomo lupo e infine uno scoiattolo. Poi venne l’alba.