giovedì 16 dicembre 2010

L'incipit del mio primo romanzo (2004)


«Quella dei chirridos è stata la goccia…».
«Racconta», dissi. Ero in birreria con Daniel, un amico argentino.
«Ti sembrerà una cazzata», fece lui.
«Non importa».
«Mi sono svegliato verso le quattro e non riuscivo più a dormire. Mi rigiravo nel letto, pensavo che quella casa non mi piace, non ci dormo tranquillo… poi sento dei rumori in cucina. Pensavo a un’impressione mia, ma ascoltavo bene e li sentivo ancora. Erano veri…».
«Che tipo di rumori?».
«Mah, suono di lamenti… como chirridos».
Inciampava in qualche argentinismo, ma per il resto parlava bene. Viveva in Italia da un anno e imparava velocemente.
«E poi?».
«Aspetto. Provo a dormire ma non c’è niente da fare, i suoni mi entrano nella testa, non mi danno pace… allora mi tiro su, metto le ciabatte e vado in cucina. Al buio, con la paura che la vecchia si sveglia…».
Bevve un sorso di birra e si passò la lingua sulle labbra. Poi continuò, senza fretta.
«Sento che i rumori vengono da sopra il mobile dei piatti. Mi avvicino e sto zitto, e ascolto, al buio».
«Ma cosa sentivi di preciso?».
«Suoni animali, acuti, schifosi… a momenti sono più forti, impresionanti, ti giuro».
«E allora?».
«Allora torno verso la porta, guardo che non venga luce dalle camere e mi giro verso i suoni. Poi accendo e apago la luce, veloce».
«Accendo e spengo la luce».
«Come?».
Sospirai. Interromperlo era sempre un errore, c’era il rischio di perdere il filo.
«Si dice spegnere. Io accendo e spengo la luce. Si dice così».
«Non si usa apago?».
«Te l’avrò detto mille volte».
«Bueno».
«E allora?».
«Cosa?».
«Hai visto qualcosa o no?».
«Nulla».
«E dopo?».
«Esco, guardo verso le camere. Non si muove niente».
«Dormivano tutti, mi sembra normale».
«En final accendo la luce, guardo bene sopra il mobile. Vicino al muro vedo una specie di scatola, coperta con un asciugamano…».
«Sì».
«Prendo una sedia e ci salgo sopra. I suoni sono vicini, insopportabili… io tremo dentro, giuro, avevo paura. Agarro l’asciugamano e lo tiro via…».
Ostentò una pausa smisurata, roba da teleromanzo di serie c. Era insopportabile. Detti fondo al mio boccale in silenzio, guardandomi intorno.
«E sai che ci trovo?», disse Daniel.
«Una scatola di vetro, con un bambino ripiegato dentro», feci con aria scocciata.
«No. Una gabbia con ratones. Neri, brutti, schifosi».
«Topi?».
«Sì, topi».

2 commenti:

  1. bah, tanto un lo sapevo che tu ci cascavi anche te a fare un blog... no no, io poi non lo seguo, non gli sto dietro, non so che scriverci... e intanto son già tre mesi che tu sei qui :)

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  2. In realtà io vivo per questo blog. Io sono il blog. Forse perché non sono più capace di scrivere un romanzo. Adesso però disabilito i commenti.

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